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Presentazione
L’8 luglio 1822, Percy Bysshe Shelley, in compagnia del giovane marinaio Charles Vivian e dell’amico ed ex ufficiale dell’esercito Edward Ellerker Williams, salpò dal porto di Livorno per fare ritorno a Casa Magni, la sua residenza nella località di San Terenzo di Lerici. L’imbarcazione, un 24 piedi a due alberi che nel maggio dello stesso anno Shelley si era fatto costruire nei cantieri genovesi, era la goletta Don Juan, nome caro a Lord Byron, anche se Percy preferiva chiamarla Ariel, come il mitico spirito dell’aria di shakespeariana memoria. Durante la traversata, molto probabilmente per lo scoppio di un violento temporale, il veliero fu inghiottito dai flutti tra le Secche della Meloria e il litorale viareggino, restituendo le salme dei tre naufraghi in punti diversi della costa toscana.
Il corpo di Williams fu rinvenuto il 17 luglio alla foce del Serchio, nella zona di Migliarino Pisano (Granducato di Toscana), mentre quello di Vivian venne trovato il 19 luglio sul litorale massese, al Cinquale, tra i fossi di Brugiano e Poveromo (nel regno di Maria Beatrice d’Este, Duchessa di Modena e Massa). La salma di Shelley fu invece restituita il 18 luglio sulla spiaggia di Viareggio, centro da poco trasformatosi da borgo di pescatori a città marittima dotata di una propria amministrazione, grazie alle misure di risanamento ed espansione economico-urbanistica introdotte da Maria Luisa di Borbone, Duchessa di Lucca dal 1817 al 1824. Più precisamente, il tratto interessato era quello delle Due Fosse nell’intrico di vegetazione della Pineta di Ponente, prospiciente Villa Paolina, la residenza estiva di Paolina Bonaparte, la cui costruzione ebbe inizio proprio nel 1822. La goletta fu recuperata solo l’11 settembre 1822, grazie all’avvistamento di due paranze viareggine che stavano pescando sui fondali.
Il 18 luglio il corpo di Percy, ormai in avanzato stato di decomposizione, fu ricoperto di calce viva e interrato sul posto, in ottemperanza alle norme sanitarie e marittime dell’epoca, come attesta la comunicazione inviata dal Governatore di Viareggio al Ministro Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Interni del Ducato di Lucca. Drammaticamente profetico suonava ora il richiamo del nome Ariel allo spirito che, nella Tempesta di Shakespeare, provoca il naufragio della nave del re di Napoli per volere di Prospero, tanto che alcuni versi memorabili del Canto di Ariel vennero successivamente incisi sulla pietra tombale del poeta. Il riconoscimento del cadavere di Percy avvenne grazie a un particolare altrettanto emblematico. Nella tasca della sua giacca, le autorità trovarono un libro di poesie di John Keats, Lamia, Isabella, The Eve of St. Agnes and Other Poems, di cui Leigh Hunt gli aveva fatto omaggio prima della partenza (secondo alcune testimonianze, la tasca conteneva anche un volume delle tragedie di Sofocle). Fu l’amico Edward John Trelawny, corsaro, esperto uomo di mare e comandante del Bolivar (l’imbarcazione di Byron), ad associare il reperto all’identità del deceduto. Un poeta fu dunque identificato grazie ai versi di un altro poeta e al fuoco dell’ispirazione che li accomunava, in una straordinaria sinergia della quale l’Italia fu in qualche modo culla e coronamento. Le ceneri di Shelley sarebbero infatti state trasferite a Roma, nello stesso cimitero protestante dove già riposava Keats, qui sepolto nel 1821, dietro l’imponente Piramide Cestia.
Nell’estate del 1822, Mary Shelley, Jane Williams e gli altri affiliati inglesi che si trovavano in Italia, tra i quali Byron, Hunt e lo stesso Trelawny, si erano attivati sin dal giorno della scomparsa del Don Juan per capire cosa fosse successo (Lettera di Mary Shelley a Maria Gisborne). Quando giunse la tragica notizia, che fu un colpo devastante soprattutto per Mary (Lettere di Mary a Maria Gisborne e a Clare Clairmont), essi si adoperarono per esumare e dare degna sepoltura alle salme mediante il rito della cremazione. Nel caso di Percy, l’iter si snodò in varie tappe.
Grazie all’intermediazione di Edward Dawkins, Incaricato d’Affari d’Inghilterra presso il Governo di Lucca, la Legazione Inglese fu autorizzata a cremare i resti di Percy sul punto dell’arenile dove erano stati originariamente rinvenuti e depositarne le ceneri in un cimitero protestante. Il rogo fu allestito il 16 agosto 1822, su ordine del Governatore Giuseppe Pellegrino Frediani e con l’avallo di Maria Luisa di Borbone e Ascanio Mansi, Ministro Segretario agli Esteri e Interni. Trelawny accese la pira di legne di pino eretta su un braciere di lamiera, gettandovi incenso e sali e cospagendo il corpo di vino e olio. Con Trelawny, alla cerimonia presenziarono gli ufficiali delle autorità marittime. Hunt vi assisté dalla carrozza di Byron, mentre quest’ultimo, sopraffatto dall’emozione, si allontanò a nuoto verso il Bolivar (Lettera di Byron a Moore ). Circa settant’anni dopo, memoria storica, trasfigurazione iconica e immaginario romantico avrebbero trovato un connubio esemplare nel dipinto dell’artista francese Louis Édouard Fournier, Il funerale di Shelley, 1889. Nella celebre tela, anche Hunt, Byron e Mary figurano tra gli astanti sul litorale di Viareggio, immortalati in uno stato di afflizione sullo sfondo cinereo di una fredda giornata d’inverno, subentrata per ‘licenza poetica’ alla torrida stagione agostana.
Nell’agosto 1822, subito dopo la cremazione, la cassetta di quercia in cui erano state raccolte le ceneri dell’“Inglese”, o “Inglese malinconico”, come i viareggini erano soliti riferirsi a Percy, fu consegnata a Trelawny per essere trasportata nel Cimitero Acattolico di Livorno. Tuttavia, l’agente britannico con cui Trelawny prese contatti inviò la cassetta a un suo corrispondente a Roma. Dopo vari mesi, le ceneri del poeta furono finalmente deposte in una bara e interrate nel Cimitero Acattolico di Testaccio, luogo particolarmente amato da Percy e Mary e che già aveva accolto la salma del loro figlio William, stroncato da una grave infezione nel 1819, alla tenera età di tre anni. Il funerale di Percy fu celebrato il 21 gennaio 1823, dopodiché, nell’aprile dello stesso anno, Trelawny fece riesumare i resti per trasferirli in una delle zone più antiche del cimitero, non lontana dal sepolcro di Keats, e rendere degnamente omaggio al caro amico allestendo una lapide in sua memoria.
Se, nei decenni successivi, la tomba di Shelley si trasformò in meta di pellegrinaggio e il nome stesso del poeta, nel contesto intellettuale angloamericano come in quello italiano, divenne sinonimo di un indomito spirito rivoluzionario promotore di una visione libertaria, è importante ricordare che l’atmosfera che accompagnò il suo decesso era intrisa di tensioni e paure. Focalizzando di nuovo l’attenzione sull’ambiente viareggino della prima metà dell’Ottocento, uno di questi timori era alimentato dal rischio di contagio, che determinò un’applicazione quasi maniacale delle misure sanitarie. Ancor più pervasivo fu il segno che il “rogo dell’Inglese” impresse nella memoria collettiva, tra i marinai, i pescatori e altri strati del popolo cattolico, che vi colsero i sentori di un macabro rituale pagano, di una pratica sacrilega foriera di sciagure. La prassi inusuale della cremazione incrementò non poco il sottobosco delle superstizioni. A ciò si aggiunse il motivo della presunta immortalità del cuore del poeta, che Trelawny strappò intatto alle fiamme consegnandolo a Hunt (il cuore di Percy sarebbe poi stato conservato da Mary fino ai suoi ultimi giorni e sepolto con lei a Bournemouth). Tra i pescatori viareggini si diffuse addirittura uno spergiuro apotropaico: “Vorrei esser bruciato come gl’Ingresi alle du’ fosse”.
Per oltre un secolo, la località alle Due Fosse è stata ammantata della fama sinistra di luogo maledetto, infestato da forze maligne. A inizio Novecento, Bertolio Solman e la moglie Enedina Castoldi vi fecero costruire Villa Enedina, scenario del truce assassinio della loro figlia Zely e ribattezzata “Villa degli Spiriti”. A metà Novecento, sul medesimo terreno venne edificata la sede della Casa del Fascio di Viareggio, non lontano dalla quale, il 18 luglio 1945 (nello stesso giorno del ritrovamento del corpo di Shelley), decine di soldati e di residenti persero la vita e più di duecento persone rimasero ferite per l’improvvisa deflagrazione delle mine rimosse dalla spiaggia e depositate temporaneamente nel seminterrato di un edificio vicino. Ulteriori strascici di violenza si sono registrati all’alba del terzo millennio. Ai nostri giorni, l’amministrazione di Viareggio è impegnata in un’opera di valorizzazione e conversione di quest’area a parco naturale.
Testimonianze
• Lettera di Giuseppe Pellegrino Frediani, Governatore di Viareggio, ad Ascanio Mansi, 18 luglio 1822, prot. n. 89 – Archivio di Stato, Lucca: Ministero per gli Affari Esteri 79, fasc. 381
[Il mare] ha straccato un cadavere in molte parti consumato […] questo dopo la ricognizione che ne è stata fatta, è stato interrato sopra la spiaggia, e ricoperto di calcina forte secondo le veglianti regole sanitarie e marittime. Rapporto al medesimo non si ha veruna notizia, ma si crede possa essere uno dei due giovani Inglesi che diconsi naufragati nel viaggio che avevano intrapreso fino del giorno 8 corrente sopra una piccola lancia in forma di goletta, che da Livorno partì per il golfo della Spezia, avendo il mare straccato l’altro sopra il Littorale Toscano.
• Lettera di Mary Shelley a Maria Gisborne, 15 agosto 1822 (in Julian Marshall, The Life and Letters of Mary Wollstonecraft Shelley, II, pp. 15-16)
Questo era il lunedì [8 luglio 1822], il lunedì fatale, ma da noi c’era stato un tempo orribile per l’intera giornata e non potevamo certo immaginare che si sarebbero imbarcati. A mezzanotte scoppiò un temporale; martedì piovve tutto il giorno […]. Nella giornata di mercoledì si levò un buon vento da Livorno e, in serata, diverse feluche arrivarono da quella zona; da una di loro sapemmo che si erano imbarcati lunedì, ma la cosa non ci convinse. Giovedì fu un’altra giornata di vento favorevole, e quando allo scoccare della mezzanotte non si vedeva ancora traccia delle grandi vele della goletta intenta a doppiare il promotorio di fronte a noi, cominciammo a temere, non proprio la verità dell’accaduto, ma un possibile impedimento—qualche incresciosa notizia legata al loro ritardo. Jane accumulò così tanta tensione da decidere di partire il giorno dopo in barca verso Livorno, in modo da verificare di persona cosa fosse successo. Il venerdì portò con sé mare mosso e vento cattivo. Ciò nonostante, Jane decise di farsi condurre a Livorno con una barca a remi (l’utilizzo di un’imbarcazione a vela era fuori questione) e cominciò a organizzare il viaggio. Avrei preferito che aspettasse l’arrivo delle lettere, visto che ogni venerdì ci veniva consegnata la posta. Lei invece era determinata a partire; tuttavia, il mare glielo impedì; le onde si ingrossarono al punto da bloccare la partenza di qualunque barca. A mezzogiorno arrivarono le lettere attese; ce n’era una inviata da Hunt per Shelley; diceva, “Vi prego di scriverci per darci notizie su come siete riuscito a tornare a casa, poiché dicono che avete incontrato brutto tempo dopo la partenza di lunedì, e siamo preoccupati.” La lettera mi cadde di mano. Fui pervasa da un tremito. Anche Jane la lesse. “Dunque è la fine,” disse. “No, mia cara Jane,” ribattei, “non è la fine, ma questo stato di incertezza è angosciante. Ora andremo insieme a Livorno; faremo in modo di accorciare il più possibile i tempi e affrontare la sorte che ci attende.” Ci dirigemmo verso Lerici con la disperazione nel cuore; lì ci rassicurarono dicendo che non erano giunte notizie infauste, e che nell’eventualità l’avrebbero saputo ecc., ma avevamo ancora molta paura e, senza prevedere soste, puntammo verso Pisa.
• Lettera di Mary Shelley a Maria Gisborne, 15 agosto 1822 (in Julian Marshall, The Life and Letters of Mary Wollstonecraft Shelley, II, p. 19)
Giovedì 18, Trelawny è partito per Livorno con il proposito di verificare cosa si stesse facendo o cosa si poteva fare. Venerdì stavo malissimo, ma, verso sera, dissi a Jane, “Se qualcosa fosse stato rinvenuto lungo la costa, Trelawny sarebbe tornato per informarci. Non è tornato, e dunque c’è speranza.” Sennonché, verso le sette del pomeriggio, tornò; era tutto finito, non c’era più niente da fare; il mare aveva trasportato a riva i corpi. Ecco, ora bisogna trovare la forza per affrontare tutto ciò.
• Lettera di Mary Shelley a Clare [Claire Clairmont], 15 settembre 1822 (in Julian Marshall, The Life and Letters of Mary Wollstonecraft Shelley, II, p. 30)
MIA CARA CLARE – Non mi stupisco che tu sia stata e sia ancora oppressa dalla tristezza, o che la pesantezza di questa sensazione ti tormenti. Buon Dio! che tragedia abbiamo vissuto, quanta preoccupazione e sofferenza che ancora incombono come nella notte più cupa. Ed io, non sono forse oppressa dalla tristezza? qui in questa Genova odiosa e immersa nei suoi affari, dove niente mi parla di lui, se non il mare, il suo assassino. Ebbene, custodirò il suoi libri e i suoi manscritti, e grazie a loro vivrò, e sono certa che studiarli mi regalerà qualche istante di felicità. Nella solitudine, la mia immaginazione e il rincorrersi dei pensieri mi concederanno alcuni momenti di esaltazione che mi renderanno più felice qui e più degna di lui in seguito.
• Lettera di Lord Byron a Thomas Moore, 27 agosto 1822 (in Thomas Moore, Letters and Journals of Lord Byron, II, p. 609)
L’altro giorno a Viareggio ho preferito allontanarmi a nuoto verso la mia goletta (il Bolivar) a largo, e poi sono tornato a riva, sempre a nuoto—per circa tre miglia, o forse anche di più. Poiché era mezzogiorno, sotto un sole cocente, ho avuto un attacco di febbre e mi sto spellando, dopo essermi riempito di vesciche dovute a una combinazione di esposizione al sole e immersione in mare. Mi hanno dato molto fastidio; non potevo stare sdraiato e nemmeno su un fianco, perché mi sentivo spalle e braccia scuoiate come quelle di San Bartolomeo. Ma ora sto bene,—la pelle mi è riscresciuta ed è lucida come quella di un serpente dopo la muta.
Abbiamo cremato i corpi di Shelley e Williams sul litorale, in modo da poterli poi trasportare e dar loro degna sepoltura. Non puoi immaginare quale effetto straordinario abbia una pira funeraria come quella, su una spiaggia desolata, con le montagne alle spalle e il mare davanti, e l’aspetto singolare che il sale e l’incenso davano alle fiamme. Ogni parte del corpo di Shelley si è ridotta in cenere, eccetto il suo cuore, che ha resistito alle fiamme ed è ora conservato sotto spirito.
[Le traduzioni dall’inglese sono a cura dell’autrice della presente scheda.]
Illustrazioni
Fig. 1 - Parco di Ponente, Viareggio (Foto di Marco Ponsi)
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Parco_di_Ponente_di_Viareggio.jpg
Fig. 2 - Villa Paolina, Viareggio
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Villa_paolina_in_viareggio_01.JPG
Fig. 3 - Lapide di P. B. Shelley, Cimitero Acattolico, Roma
Fig. 4 - Louis Édouard Fournier, The Funeral of Shelley, 1889, Walker Art Gallery of Liverpool
Bibliografia
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Viani, Lorenzo, “Fantasie di vagabondi: Il poeta e il tosacani”, Corriere della Sera, 15 ottobre 1934.
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Scheda a cura di
Laura Giovannelli
Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica
Università di Pisa
(Marzo 2025)
Ultimo aggiornamento
17.08.2025