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Pisa, residenze in Via Lungo l’Arno (ora Lungarno Pacinotti)

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Presentazione

 

Durante il loro lungo, seppur intermittente, soggiorno a Pisa, gli Shelley abitarono in ben quattro diverse residenze sul lato di Tramontana del Lungarno, allora considerato il lato più salubre, in quanto esposto a mezzogiorno.

Nella primavera del 1818, dopo un soggiorno a Milano e sul lago di Como, la famiglia –  insieme a Claire Clairmont, sorellastra di Mary – decise di trasferirsi nella città toscana. Percy sperava di trovarvi alcune conoscenze che potessero essergli d’aiuto e, allo stesso tempo, di risollevare lo spirito di Claire, provata dalla recente separazione dalla figlia Allegra, affidata al padre Lord Byron (P. Shelley 1964, p. 13).

Come molti viaggiatori dell’epoca, il gruppo inizialmente soggiornò in una struttura ricettiva, con l’intenzione di cercare sul posto un alloggio permanente adatto alle proprie esigenze: la Locanda delle Tre Donzelle. Proprio per la sua collocazione, tra l’attuale Lungarno Pacinotti [link a Fig. 1] (allora semplicemente chiamato “Via Lungo l’Arno”, poi Lungarno Regio) e Piazza Garibaldi (al tempo Piazza del Ponte), la locanda era particolarmente popolare tra i viaggiatori, specialmente inglesi. Tuttavia, la prima impressione di Pisa degli Shelley non dovette essere molto favorevole, se il gruppo rimase solo tre giorni prima di trasferirsi prima a Livorno, città in cui risiedeva la famiglia Gisborne, e poi nella più fresca Bagni di Lucca. La lapidaria descrizione di Percy è quella di una città “grande e sgradevole, quasi del tutto priva di abitanti” (P. Shelley 1964, p. 18), mentre Mary la trova smorta, oltre a rimanere “disgustata” dalle condizioni dei prigionieri costretti a lavorare incatenati per le strade (M. Shelley 1980, p. 67).

Il secondo soggiorno fu invece assai più propizio: il 26 gennaio del 1820, gli Shelley rientrarono a Pisa, appoggiandosi inizialmente di nuovo alla Locanda delle Tre Donzelle, per poi prendere in affitto il mezzanino, prima, e il più spazioso ultimo piano, poi, di Casa Frassi, residenza che trovarono spaziosa, adatta alla famiglia e, in particolar modo, alle sue esigenze economiche (link a Mary Shelley a Marianne Hunt, 24 Marzo 1820). Comodamente insediati a Pisa, gli Shelley cominciarono quindi a instaurare quelle relazioni che Percy aveva desiderato già un anno e mezzo prima. Oltre a mantenere stretti rapporti epistolari con altri espatriati, come Maria Gisborne e Sophia Stacey – a cui indirizza, proprio da Casa Frassi, Su Una Violetta Sfiorita [link] – ne stabiliscono di nuovi, come quello con due personalità vivaci e cosmopolite, gli anglo-irlandesi Margaret King [link a Fig. 2] e George William Tighe, conosciuti come Mrs. e Mr. “Mason” (link a Percy Shelley a Leigh Hunt, 5 aprile 1820), e il traduttore e poeta irlandese John Taaffe.

Né la famiglia si isolò dalla vita sociale pisana: uno dei motivi che l’avevano spinta a scegliere proprio questa città era la presenza del rinomato medico e chirurgo Andrea Vaccà Berlinghieri [link a Fig. 3] (menzionato nella lettera di Mary a Marianne Hunt [link]), intellettuale di spicco che aveva ricevuto parte della propria formazione a Parigi e Londra, nella speranza che potesse assistere Percy in quella che il medico identificò come nefrite. I molteplici interessi di Vaccà e le sue simpatie repubblicane, nonché il suo coinvolgimento nei circoli carbonari dell’epoca, lo posero tra i protagonisti di quel “Circolo Pisano” che pian piano andava formandosi attorno al nucleo Romantico in città.

Lasciata Pisa per l’estate e recatisi – dietro consiglio di Vaccà – a Bagni San Giuliano per godere di un clima più temperato e delle terme, gli Shelley tornarono in città nell’ottobre del 1820, stabilendosi stavolta a Palazzo Galletti (chiamato anche “Casa Galletti” in lettere e diari della famiglia), dove rimarranno fino all’aprile del 1821. Anch’essa situata sul Lungarno di Tramontana, di fianco a Palazzo Lanfranchi, la residenza (attualmente sede della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa [link a Fig. 4]) era grande abbastanza da ospitare uno studio per Percy, ampie stanze per Mary e per il piccolo Percy Florence, l’unico figlio sopravvissuto della coppia, e Thomas Medwin, il (mal tollerato) cugino di Shelley (link a Percy Shelley a Claire Clairmont, 29 Ottobre 1820).  

È, questo, un periodo particolarmente prolifico sia per Percy che per Mary: il primo scrive, tra altre opere, la Ode alla Libertà (1820) che celebra i moti rivoluzionari in Spagna, e il trattato A Defence of Poetry (1821). La seconda si dedica alla scrittura del romanzo storico Valperga [link](1823), dedicato alla vita del condottiero lucchese Castruccio Castracani, poi inviato da Percy all’editore Ollier nel Luglio 1821 (link a Percy Shelley a Charles Ollier, 17 luglio 1821). Anche dal punto di vista sociale, il circolo degli Shelley si estende ulteriormente: a questa fase risalgono le frequentazioni, descritte in italiano in una lettera di Mary a Leigh Hunt, con il poeta e improvvisatore Tommaso Sgricci e con Francesco Pacchiani, docente di Eloquenza all’Università di Pisa (link a Mary Shelley a Leigh Hunt, 3 Dicembre 1820). La personalità di Pacchiani, un uomo vulcanico ma non sempre affidabile, stancò presto gli Shelley, che presero a definirlo con il nomignolo ‘il Diavolo Pacchiani’.

Un altro personaggio di rilevante impatto è quello di Teresa Viviani Della Robbia, chiamata Emilia, figlia del Governatore di Pisa. Gli Shelley presero particolarmente a cuore il caso della giovane contessina, confinata dalla famiglia come convittrice nel Convento Sant’Anna fino a che non fosse stato possibile combinare per lei un buon matrimonio (link a Mary Shelley a Leigh Hunt, 29 Dicembre 1820). A “Emilia”, Percy dedica numerosi componimenti, tra cui A Emilia Viviani [link] (1821) e il più conosciuto Epipsychidion (1821).

L’ultima residenza sul lato di Tramontana occupata dagli Shelley è Casa Aulla (ora Palazzo Prini-Aulla [link a Fig. 5]), in cui la famiglia si trasferì nel marzo del 1821. L’appartamento, attualmente inglobato nel complesso del Royal Hotel Victoria [link a Fig.6], era anche in questo caso molto spazioso, garantiva una invidiabile vista sull’Arno e permetteva di godere delle splendide giornate primaverili (link a Mary Shelley a Claire Clairmont 2 aprile 1821). Il soggiorno fu di breve durata: poco più di due mesi, fino al consueto esodo estivo ai Bagni San Giuliano. Tuttavia, la serenità provata a Pisa, arricchita anche dall’arrivo di Edward e Jane Williams, con cui Percy e Mary formarono da subito un forte legame, fece sì che, dopo attenta considerazione, il gruppo la scegliesse ancora una volta come proprio ‘nido’ nell’ottobre 1821 (link a Percy Shelley a Mary, 19 agosto 1821). Gli Shelley presero in affitto un appartamento nei Tre Palazzi di Chiesa, stavolta sul lato di Mezzogiorno, preparando anche l’arrivo in città di Lord Byron e Leigh Hunt.

 

Testimonianze

 

  • Lettera di Mary Shelley a Marianne Hunt, 24 marzo 1820 (in The Letters of Mary Wollstonecraft Shelley, I, p. 136)

Il chirurgo più famoso di tutta Italia vive a Pisa, Vaccà. È un uomo molto piacevole, un grande repubblicano e non cristiano. Dice a Shelley di prendersi cura di sé, di rafforzarsi, ma di non prendere medicine. A Pisa abbiamo un appartamento sul Lung’Arno—una strada che percorre tutta la città su entrambi i lati dell’Arno—e il lato che riceve il sole da sud ha il clima più caldo e salubre del mondo. Per 4 ghinee e mezzo al mese, abbiamo due camere da letto, due salotti, una cucina, stanze per la servitù, ben arredate, molto pulite e nuove (che è una gran cosa in questo paese). Le stanze sono luminose e ariose, quindi, come vedi, iniziamo a beneficiare dei prezzi italiani—si impara a fatica, ma ti assicuro che qui una corona vale quanto una sterlina in Inghilterra per quanto riguarda le comodità e le necessità della vita. Se non fosse per le richieste e le spese che, per così dire, ci riguardano personalmente e non derivano dal paese in cui viviamo, saremmo davvero molto ricchi. Per come stanno le cose, per la prima volta nella nostra vita riusciamo a cavarcela facilmente—le nostre menti non sono più turbate dai conti settimanali e dalle spese quotidiane e, con un po’ di attenzione, speriamo di sistemare gli affari in ordine meglio di come sono ora.

 

 

  • Lettera di Percy Shelley a Claire Clairmont, 29 ottobre 1820 (in The Letters of Percy Bysshe Shelley, II, p. 242)

 

Ora ci siamo trasferiti in un alloggio sul Lungarno, sufficientemente comodo, per il quale paghiamo tredici zecchini al mese. Si trova accanto a quel palazzo di marmo [Palazzo Lanfreducci, detto ‘Alla Giornata’, n.d.e.] ed è chiamato Palazzo Galetti. Comprende un eccellente mezzanino e due stanze al quarto piano, tutte esposte a sud, con due caminetti. Le stanze superiori, una delle quali è la camera di Medwin e l’altra è il mio studio (congratulati con me per il mio isolamento), sono estremamente piacevoli, e oggi mi dedicherò a sistemare i miei libri e raccogliere le mie carte intorno a me. Mary ha un’ottima stanza al piano inferiore e c’è spazio in abbondanza per il bambino. Credo che le acque di Pisa possano darmi sollievo, se davvero la malattia è quella che si sospetta.

 

 

  • Lettera di Percy Shelley a Leigh Hunt, 5 aprile 1820 (in The Letters of Percy Bysshe Shelley, II, p. 180)

 

Abbiamo degli appartamenti piacevoli sull'Arno, all’ultimo piano di una casa, dove cominciamo soltanto adesso a riprendere le forze, poiché siamo stati rinchiusi in stanze anguste per tutto questo rigido inverno, e la mancanza di uno studio mi ha esasperato fino allo sfinimento. Non ho fatto nulla, quindi, fino a questo mese, e ora riprendiamo le nostre abituali occupazioni letterarie. Non vediamo nessuno, tranne una signora irlandese e suo marito, che si sono stabiliti qui. Lei è tutto ciò che si può desiderare in quanto ad amabilità e saggezza, e lui è molto piacevole. Penserai che sia il mio destino, in ogni città in cui vivo, trovare o immaginare una signora di 45 anni, molto aperta di mente e filosofica, che ha interiorizzato profondamente lo spirito migliore e più raffinato della sua epoca, con modi incantevoli e una certa propensione a volermi bene. Ma in effetti, questa signora è proprio così.

 

  • Lettera di Mary Shelley a Leigh Hunt, 3 dicembre 1820 (in The Letters of Mary Wollstonecraft Shelley, I, pp. 163-164)

 

Bisogna che vi parlerei, amico mio, d’una conoscenza che abbiamo fatto con un Professore a Pisa. Lui è davvero il solo Italiano che ha cuore ed anima. Ha un spirito altissimo, un ingegno profondo, e un’elequequenza che trasporta. I poveri Pisani lo credano matto; e racontano tante storiette di lui che ci fa credere che davero è un poco stravagante, o per parlare in Inglese —eccentric. Ma lui dice—Mi credano matto e mi fa piacere chi si sbagliarebbero cosi; ma forse il tempo verrà quando vedrano che sia la pazzia di Bruto. Ogni sera viene ala nostra casa e sempre fa le nostre delizie colle di sue idee originale. Parla una bellissima lingua Italiana, tutta differente della idioma di oggi, che ci fa credere d’udire il Boccaccio o il Macchiavelli parlando come scrissono. Poi abbiamo fatto conoscenza con un’Improvisatore—un’uomo di gran’ talento—e molto forte nel Greco, e con un genio poetico incomparabile. Improvise con un fuoco e justezza ammirabile. Il suo sujetto era il destino futuro d’Italia. Rammentò che Petrarca disse che ni le alpe altissime ni il mare bastava a difendere questo Paese vacillante e vecchio dai Padroni forestieri—Ma disse lui—vedo crescere le alpe—e alzare e turbare il mare stesso per impedire i di suoi nemici. […] Vedete che intanto conoscemo ogni giorno un poco piu dei Italiani, e sentiamo un grandissimo interesso nella guerra minacciata a Napoli. Che faranno? I nobili di Napoli sono indipendente e bravi; ma il popolo è schiavo.

 

 

 

  • Lettera di Mary Shelley a Leigh Hunt, 3 dicembre 1820 (in The Letters of Mary Wollstonecraft Shelley, I, p. 172)

 

…domani finirò la mia lettera e ti parlerò della nostra sfortunata giovane amica, Emilia Viviani. È doloroso vedere questa splendida ragazza consumare i migliori anni della sua vita in un odioso convento, dove sia la mente che il corpo si ammalano per la mancanza dell’esercizio adeguato che ciascuno richiede. Penso che abbia un grande talento, se non addirittura del genio, perché, se non avesse una fonte interiore, come potrebbe aver acquisito la padronanza che ha della propria lingua, che scrive in modo così magnifico? O quelle idee che la elevano così tanto al di sopra del resto degli italiani? Non ha studiato molto e ora, senza speranza dopo cinque anni di reclusione, ogni cosa la disgusta e guarda con odio e avversione persino a ciò che potrebbe alleviare la sua situazione. La sua unica speranza è in un matrimonio, che i suoi genitori le dicono essere già stabilito, anche se non ha mai visto la persona destinata a lei. E non credo che il cambiamento di condizione sarà di molto migliore, poiché si tratta di un fratello minore che vivrà in casa con sua madre, che dicono sia ‘molto seccante’ [‘molta secante’ in originale, n.d.e.]. Eppure, almeno allora, potrà finalmente esercitare liberamente il proprio corpo—potrà uscire a camminare tra i campi, i vigneti e i boschi della sua amata terra, vedere le montagne e il cielo, e non più, come ora, essere costretta a fare una dozzina di passi a destra e poi tornare indietro a sinistra per un’altra dozzina, il percorso più lungo che il giardino del convento le concede, e che, come puoi immaginare, raramente prova il desiderio di percorrere.

 

  • Lettera di Mary Shelley a Claire Clairmont, 2 aprile 1821 (in The Letters of Mary Wollstonecraft Shelley, I, p. 187)

 

Aprile si è aperto con un clima davvero celestiale, dopo un’intera settimana di libeccio—pioggia e vento. È meraviglioso godere di uno di quei giorni così tipici dell’Italia in questa stagione precoce: il cielo limpido, il sole vivificante e una brezza fresca ma non fredda.

Proprio quella dolce stagione in cui i pensieri lieti portano con sé anche quelli tristi—quando ogni sensazione sembra avere un effetto doppio e ogni momento della giornata è distinto, vissuto e contato. Non si è allegri—o almeno, io non lo sono—ma sereni, in pace con il mondo intero.

 

  • Lettera di Percy Shelley a Mary Shelley, 19 agosto 1821 (in The Letters of Percy Bysshe Shelley, II)

 

...con Lord Byron e le persone che conosciamo a Pisa, avremmo una sicurezza e una protezione che sembrano essere più in dubbio a Firenze. […] Che ne pensi di restare a Pisa? Gli Williams probabilmente sarebbero indotti a restare se lo facessimo anche noi; Hunt certamente rimarrebbe, almeno per questo inverno, vicino a noi, se dovesse decidere di emigrare; Lord Byron e i suoi amici italiani resterebbero tranquillamente lì, e Byron ha sicuramente una grande considerazione per noi […]. I Mason sono lì, e per quanto riguarda le questioni concrete, sono miei amici. […] Le nostre radici non hanno mai attecchito così profondamente come a Pisa, e l’albero trapiantato non fiorisce.

 

 

Testi

 

  • Percy Shelley, Su una Violetta Sfiorita (1820) [2018]

 

Dal fiore fuggito è il colore

                  che come i tuoi dolci occhi su di me sorrideva…

dal fiore via è volata la fragranza

                  che di te, e solo di te alitava –

 

una forma vuota, consunta, senza vita

                  giace sul mio petto abbandonato –

e il mio cuore schernisce, ancora caldo,

                  con freddo e silente riposo.

 

Io piango – non gli dan vita le mie lacrime.

                  Io sospiro – su di me più non respira.

La sua muta sorte rassegnata

                  è qual dovrebbe essere la mia.

 

  • Mary Shelley, Valperga – estratto dal Capitolo primo (1823/2007)

 

Le altre nazioni d’Europa erano ancora immerse nella barbarie, quando l’Italia, dove il lume della civiltà non si era mai completamente eclissato, cominciò a emergere dall’oscurità della rovina dell’Impero d’Occidente e a cogliere i barlumi della letteratura e della scienza che tornavano a riaffacciarsi dall’Oriente. All’inizio del XIV secolo Dante aveva già dato una forma permanente alla lingua data da questa rivoluzione; egli fu personalmente impegnato in quelle lotte politiche in cui gli elementi del bene e del male, che da allora hanno assunto una forma più definitiva, combattevano fra loro; la delusione e l’esilio gli diedero modo di meditare, e il risultato fu la sua Divina Commedia. La Lombardia e la Toscana, le regioni più civilizzate d’Italia, producevano esempi sorprendenti del genio umano, ma allo stesso tempo erano lacerate da discordie interne e quasi completamente distrutte dalla furia delle guerre civili.

 

  • Percy Shelley, A Emilia Viviani (1821) [2018]

 

Perché, Madonna, mi mandaste

                  dolce basilico e amorino –

d’amore e di salute emblemi, che mai non vanno

                  nella stessa ghirlanda insieme?

                  E son bagnati, ahimè! –

Sono i vostri baci o le vostre lacrime?

                  Ché mai pioggia o rugiada

                  tant’[?intima] fragranza trasse

da pianta o fiore, – il dubbio stesso mi fa cara

                  la mia tristezza sempre nuova,

i miei sospiri, e le mie lacrime per voi.

 

 

 

Immagini

 

Bibliografia:

 

Curreli, Mario, Scrittori inglesi a Pisa: viaggi, sogni, visioni dal Trecento al Duemila, Pisa, ETS, 2005.

Shelley, Mary, The Letters of Mary Wollstonecraft Shelley, ed. B. T. Bennett, Baltimore and London, The Johns Hopkins University Press, 1980, 3 vols.

Shelley, Mary, The Journals of Mary Shelley, 1814-1844, eds P. R. Feldman and D. Scott-Kilvert, Oxford, Clarendon Press, 1987, 2 vols.

Shelley, Mary, Valperga, or, the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca, ed. by M. Rossington, Oxford, Oxford University Press, 2000.

Shelley, Mary, Valperga, a c. di L. M. Crisafulli e K. Elam, Milano, Mondadori, 2007 [2021].

Shelley, Percy Bysshe, Posthumous Poems of Percy Bysshe Shelley, edited by Mrs. Shelley, London, John and Henry L. Hunt, 1824.

Shelley, Percy Bysshe, The Letters of Percy Bysshe Shelley, ed. F. L. Jones, Oxford, Clarendon Press, 1964, 2 vols.

Shelley, Percy Bysshe, Opere poetiche, a cura di F. Rognoni, Milano, Mondadori, 2018.

Villani, Stefano, “l Grand Tour degli inglesi a Pisa (secoli XVII-XIX)”, in E. Daniele (ed.), Le dimore di Pisa. L’arte di abitare i palazzi di una antica Repubblica Marinara dal Medioevo all’Unità d’Italia, Atti del Convegno di studi, Firenze, Alinea, 2010, pp.173-180.

 

Ultimo aggiornamento

05.04.2025

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